I FUOCHI D’ARTIFICIO DELL’ARTIGLIERE
O DELL’INCIDENTE

Nel 1813 Giambattista Venturi abbandona la Svizzera, dove ricopriva un incarico diplomatico e, accompagnato da sessanta casse di libri, stampe, quadri e minerali, riprende possesso della casa di famiglia in via Emilia Santo Stefano. La restaurazione non lo tocca. Il duca Francesco IV gli conferma la pensione di 6.000 lire annue e il nostro abate (di diritto non di fatto: si conoscono almeno due avventure galanti) può dedicarsi alle sue attività preferite: gli studi e la bibliofilia. Da quando «l’ignorante bibliotecario dell’Università di Modena» gli ha negato il prestito di alcuni libri, la bibliofilia è diventata una passione divorante. Venturi raccoglie una biblioteca di più di 22.000 volumi.
L’amico Giovanni Paradisi così descrive, con una non sottile punta d’ironia:

Se vede nelle scansie
Delle scelte librerie
Qualche raro e bel volume
Senza vopo aver di piume
Con quell’ugne benedette
Gli applicava un par d’alette
E ordinavagli di poi
Di volar tra i libri suoi
Con tal mezzo in cambio d’oro
Fè di tomi un gran tesoro
Che oggi in Reggio si conserva
S’usa poco assai s’osserva.

Venturi studia Galileo, pubblica un tratto sull’artiglieria moderna, scrive una Storia di Scandiano. Tutto procede ottimamente, quando un imprevisto cambia l’ordine delle cose. Il 28 luglio 1815 il duca Francesco IV visita Reggio. Venturi organizza uno spettacolo pirotecnico. Un razzo fuori controllo centra il fienile della locanda del Cavalletto (via Guido da Castello), generando un incendio che coinvolge vari isolati. Viene avviato un procedimento civile che angustia Venturi e intacca il suo patrimonio. È paradossale, per un autore di trattati d’artiglieria, aver la vita avvelenata da un fuoco d’artificio.
Giambattista Venturi muore, a processo non concluso, il 10 settembre 1822.