Luigi Parmeggiani

236 – IL FALSARIO REDENTO (Luigi Parmeggiani)

Luigi Parmeggiani è un reggiano di umilissime origini che, emigrato nel 1878, si trovò a vivere nella spumeggiante Parigi della “Belle Epoque”. Dapprima anarchico disperato, forse ladro, sicuramente attentatore poi antiquario benestante, forse falsario, sicuramente mercante di oggetti di dubbia origine.
Nella sua vita passa dal ventre dei bassifondi ai salotti di varie capitali europee. Conosce e frequenta sartine e principesse, anarchici espropriatori e banchieri, ladri e ricchi magnati, collezionisti tragattini, conoscitori e critici d’arte. Prima reietto poi riverito. Sul compiere della sessantina, accompagnato da una moglie, bella, francese e più giovane di vent’anni torna alla sua città natale. Vuole lasciare a Reggio un monumento, una galleria, una casa che perpetui la sua memoria.
L’edificio è la chiave simbolica della sua biografia. Il Palazzotto è la riproposta di un reliquiario (falso) conservato all’interno. Dagli angoli spuntano mostri. Sono 7 come 7 sono i vizi capitali. Questi vizi, queste tentazioni caratterizzarono la sua gioventù. Questi mostri però nonostante i loro sforzi e i loro contorcimenti non insidiano più Parmeggiani. Egli è difeso dall’arte. Raffaello, Michelangelo, Leonardo, Cellini dall’alto delle loro nicchie dorate fanno buona guardia.
L’arte ha salvato Parmeggiani dalla perdizione: l’arte che è contenuta, come una reliquia, all’interno. Messi lì, a preannunciarci le meraviglie dell’interno, stanno gli scudetti incastonati nelle finestre archiacute; riproducono tutti oggetti o particolari degli oggetti contenuti all’interno. L’interno è scuro, le pareti sono dipinte di rosso pompeiano, solamente il baluginare dell’oro, lo scintillio delle armi, la cangianza dei tessuti, il colore dei dipinti, rompono la penombra. E’ un effetto di grotta del tesoro, di caverna di Alì Babà quello che Parmeggiani voleva lasciarci. Ma è davvero così?
A rendere dubbie le certezze della nostra interpretazione sta una terzina dantesca, posta sardonicamente all’ingresso.
Or tu chi se’ che vvoi sedere a scranna
per giudicar da lungi mille miglia
con la veduta corta d’una spanna?”.
(A.M.)
Dove: For inspiration only, Diorama A