Le sepolture

Viandante, férmati a leggere, è l’esortazione rivolta ai passanti, che percorrevano una strada alle porte di una città romana, dalle lapidi che ne accompagnavano il percorso.
Il cimitero romano non era infatti un recinto, come ai giorni nostri, ma, in ossequio al divieto imposto dalle leggi delle XII tavole di seppellire i morti all’interno dei confini urbani, si articolava in allineamenti, quasi cortine, di tombe lungo le strade di accesso alla città. Percorrendo queste “vie sepolcrali” il viandante poteva rivivere le esistenze di cittadini più o meno illustri attraverso le parole incise nella pietra dei monumenti funerari, così come essi stessi si erano presentati con evidenti intenti propagandistici.
Ad ogni famiglia era assegnato un recinto rigorosamente definito negli spazi e distinto dai recinti confinanti e dal suolo pubblico della strada. All’interno di esso i defunti potevano essere sepolti o incinerati. Il rito più semplice di cremazione consisteva nello scavare una buca direttamente nella fossa di sepoltura, nel riempirla di legna, nel deporvi il cadavere e infine bruciarlo (bustum); ma più frequentemente il rogo avveniva in un luogo riservato della necropoli ed in seguito le ceneri venivano raccolte in un’urna poi deposta nella tomba (ustrinum). Gli oggetti di accompagno costituenti il corredo funerario consistevano abitualmente in un servizio di vasi per il banchetto o per il simposio, in una lucerna, in uno o più balsamari in vetro e nell’”obolo di Caronte”, la moneta con cui il defunto avrebbe pagato il traghettatore nel suo ultimo viaggio verso l’aldilà.
La via Aemilia alle porte di Regium Lepidi fu sede di sepolture sia in direzione di Parma, sia in direzione di Mutina, dove era allestita la necropoli più monumentale perché imperniata sulla strada la cui proiezione raggiungeva l’Urbe. In questo settore, fra Villa Ospizio e San Maurizio, le scoperte si sono succedute dal Medioevo ai giorni nostri, facendone l’area archeologica più importante della città.

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Pettia Ge e Caio Clodio Antioco, i due sposi liberti

Interrompi per un attimo il tuo cammino, viaggiatore che arrivi a Regium da Roma, riposati e leggi la mia storia. Questo bel monumento l’ho costruito a mie spese io, una liberta, e ho voluto dedicarlo al mio sposo Caius e al nostro buon patrono, Pylas, a cui entrambi molto dobbiamo. Noi tutti un giorno verremo accolti all’ombra di questa grande stele. Il grande amore che ha unito Caius a me è ancora lo stesso del giorno delle nozze, quando stringendoci le mani destre ci scambiammo la promessa di fedeltà. Due leoni e due grifoni proteggono la nostra ultima dimora e il nostro eterno amore. È a Roma che dobbiamo le fortune delle nostre età mature, dopo vite di duro lavoro, Caius a lavorare pietre e marmi, noi giunti giovani dal mare orientale in questa regione boreale.