28 settembre/27 ottobre 2013 Il ritorno del Guerriero

con il contributo di Lions Club Albinea “Ludovico Ariosto”, in collaborazione con Museo Civico Archeologico di Bologna

in occasione di

“ARTE IN AGENDA. A tu per tu con … Giacometti e l’Ombra della sera”
Palazzo Magnani (28 settembre – 13 ottobre 2013)
evento promosso da Fondazione Palazzo Magnani
in collaborazione con Museo Guarnacci di Volterra
e Musei Civici di Reggio Emilia
nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio 2013

SABATO 28 SETTEMBRE, ORE 16.00
Musei Civici di Palazzo S. Francesco, v. Spallanzani, 1

inaugurazione della mostra
IL RITORNO DEL GUERRIERO
(28 Settembre – 27 Ottobre 2013)
con il contributo di Lions Club Albinea “Ludovico Ariosto”, in collaborazione con Museo Civico Archeologico di Bologna
in occasione di
“ARTE IN AGENDA. A tu per tu con … Giacometti e l’Ombra della sera”
Palazzo Magnani (28 settembre – 13 ottobre 2013)
evento promosso da Fondazione Palazzo Magnani
in collaborazione con Museo Guarnacci di Volterra
e Musei Civici di Reggio Emilia
nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio 2013

Il Ritorno del Guerriero
Dopo circa 150 anni ritorna per la prima volta in questa Città una statuetta in bronzo nota come “il guerriero di Reggio Emilia”, che si custodisce nel Museo Civico Archeologico di Bologna. Lo si deve alla liberalità di Paola Giovetti, direttore del Museo, e di Anna Dore, funzionario responsabile della Collezione etrusco-italica, e al sostegno del Lions Club di Albinea “L. Ariosto”.
Alta cm 15,8, raffigura un orante, a giudicare dal gesto delle mani, le cui palme sembrano alludere alla devozione rivolta a divinità catactonie. Colpiscono l’assenza di indumenti e al contempo l’ostentazione di un elmo crestato, di foggia villanoviana, che certo ne marca lo status elevato, non di semplice guerriero, ma, si direbbe, di condottiero. E’ sull’elmo che si concentra tutta l’attenzione.
La sua provenienza ha fatto discutere gli ormai numerosi studiosi che se ne sono occupati (da Giuliana Riccioni ad Emily Richardson, da Friederich von Hase a Filippo Maria Gambari, da Monica Miari ad Anna Dore). Tanto fervore di studi attorno ad un unico pezzo si giustifica per le conseguenze che avrebbe il poterlo riconsegnare alla storia di questa Città: si tratterebbe della prima, antichissima, testimonianza di una presenza etrusca o etruschizzante nel Reggiano.
Tutto ciò che si può purtroppo documentare è il suo acquisto, avvenuto a Reggio Emilia per iniziativa di Luigi Frati, direttore del Museo Comunitativo di Bologna, quindi negli anni ’60 del XIX secolo. La prima notizia riguardante la nostra statuetta risale al 1882 e si deve a uno studioso tedesco, il von Duhn, che, in un contributo per gli “Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”, ne circoscrive la provenienza all’Italia del nord con queste parole: “ Dall’alta Italia pure, come sembra verosimile, proviene una figurina in bronzo del Museo civico di Bologna, la quale fu acquistata dal sig. Luigi Frati presso un negoziante di Reggio Emilia”. Qualche anno più tardi (nel 1889) Edorado Brizio, direttore del Museo Civico di Bologna, riprese la notizia senza ulteriori dettagli: “Nel Museo civico di Bologna esiste una statuetta in bronzo di rozzo lavoro acquistata or sono molti anni presso un negoziante di Reggio Emilia, la quale rappresenta un uomo nudo in piedi, e con in capo un elmo a doppia cresta, identico agli originali tarquiniesi”. Dall’opera dello svedese Oskar Montelius in poi, cioè a partire dal 1895, se ne circoscrive la provenienza ai “dintorni di Reggio Emilia”. E così, nel 1923, Pericle Ducati ribadisce: “dalle vicinanze di Reggio Emilia”.
Questo è tutto ciò che si può sinora ricostruire. Che Reggio, o il Reggiano, oltre che il luogo dell’acquisizione, possa essere stato anche quello del rinvenimento della statuetta non deve essere escluso a priori: nella piccola Reggio di quegli anni il mercato antiquario difficilmente avrebbe potuto trovare alimento al di fuori dell’ambito locale. Certo il silenzio di don Gaetano Chierici che, proprio allora, andava costruendo il Gabinetto di Antichità Patrie nell’antico complesso del San Francesco, è motivo di ulteriori imbarazzi: eppure lo sappiamo attento anche alle poche raccolte private di antichità presenti a Reggio.
Sia pure in assenza di ogni certezza riguardo alla sua provenienza, non si può tacere di un certo radicamento padano che permea la statuetta, rendendo almeno verosimile il collegamento al nostro territorio. Una delle ragioni per cui si mette in dubbio il legame con Reggio Emilia è l’alta antichità del bronzetto: la fine dell’VIII – inizi del VII secolo a.C., secondo la proposta di Filippo Maria Gambari. Non si troverebbero testimonianze etrusche altrettanto antiche non solo a Reggio, ma nemmeno nel Reggiano né in tutta l’Emilia occidentale. In verità disiecta membra di una frequentazione coeva alla presunta età del bronzetto, sia pure sporadica, sono riconoscibili in provincia ed ora anche in città e meriterebbero di essere valorizzate. Il tema dell’isolamento cronologico della nostra statuetta potrebbe perciò non essere del tutto probante.
La nudità, si direbbe quasi un indizio di alterità, e l’armamento essenziale la distinguono dalle relativamente rare coeve raffigurazioni di armati in ambito settentrionale, tutti portatori di panoplia: dal guerriero bronzeo dello scolo di Lozzo atestino, al cavaliere dell’askos Benacci di Bologna, al guerriero raffigurato sulla stele della tomba 63 del sepolcreto Benacci Caprara sempre a Bologna. Un armamento ridotto al solo elmo crestato caratterizza invece un bronzetto dal Monte Bego sulle Alpi Marittime, che Gambari accosta alla nostra statuetta.
Un ultimo quesito investe il nostro bronzetto: in quale azione di culto poteva essere impegnato il nostro devoto, diciamo pure il nostro eroe? Una possibilità è che si alluda al rituale dell’offerta dell’elmo, di cui le acque interne dell’Italia settentrionale, soprattutto in ambito culturale ligure, offrono interessanti testimonianze. L’accostamento del guerriero di Reggio Emilia all’elmo villanoviano, probabilmente tarquiniese, che era stato ritualmente seppellito nel letto del Tanaro vicino ad Asti, è stato più volte proposto, sin dai giorni in cui il piemontese Edoardo Brizio aveva voluto accostare la nostra statuetta al calco in gesso di quell’elmo in una vetrina del Museo di Bologna. L’offerta di armi da parata poteva essere indirizzata, per ottenerne i favori, a divinità delle acque, non senza possibili connessioni con il mondo infero. Le palme delle mani rivolte al suolo nel nostro bronzetto potrebbero appunto evocare la ricerca di dialogo con gli dei dimoranti nei territori bui e senza speranza del sottosuolo.