Il caso di Isabella

“La pazzia è una forma di normalità”
Luigi Pirandello

Isabella Z.M., donna nubile, proveniente da Novellara, fu ricoverata nell’ospedale psichiatrico “San Lazzaro” per paranoia persecutiva ed erotica durante la seconda metà dell’ Ottocento. I ricoveri a cui fu sottoposta furono due, a distanza di sei anni l’uno dall’altro.

Dal primo ricovero (iniziato nel 1888), durante il quale le era stata attribuita una prognosi riservata, uscì dopo un anno sotto garanzia della sorella, in quanto le sue condizioni erano migliorate.

Il secondo (dal 1895), durato quattro anni, si concluse con la sua morte causata da tubercolosi polmonare; durante questo ricovero la paziente risultò essere assai peggiorata, infatti era irrequieta, irritabile, solitaria e soffriva di allucinazioni.

Nella sua immaginazione Isabella credeva di essere sposata con un giovane medico condotto, dal quale sosteneva di aver avuto un figlio e riteneva che vi fosse una congiura da parte del paese che le impediva di vedere l’uomo da lei tanto amato. Questa sua fantasia erotica confermò la patologia diagnosticata dai medici, ovvero “paranoia persecutiva ed erotica”. Persecutiva, in quanto credeva di essere perseguitata dall’intero paese; erotica, non riferito ad un aspetto sessuale, ma al tema amoroso che era alla base di questa sua patologia.

Isabella scrisse moltissime lettere indirizzate al padre, alla sorella, al “marito”, in cui sono presenti diversi errori. Esse sono state scritte con una calligrafia minuta e che tende ad occupare tutto lo spazio disponibile (persino l ‘interno delle buste); il periodare, come osservano i medici nella cartella clinica, è “ampolloso e confuso”, raggiunge talvolta una tonalità poetica, ma in ogni modo con uno “strazio inaudito della prosodia e del buonsenso”. I medici che si occuparono delle sue cartelle cliniche, diedero grande importanza a questo suo modo di scrivere e per questa ragione venne definita “grafomane”, in quanto nella sua scrittura emerge angoscia, timore, paura, nonché intolleranza verso la disciplina del manicomio.

Isabella voleva corrispondere ai canoni che la società dell’ Ottocento richiedeva alle donne, ovvero doveva essere, prima di tutto, moglie fedele, figlia devota, sorella amorevole ed indubbiamente madre premurosa.

Isabella, donna nubile, sentiva questa sua mancanza come una profonda pena ed essendo sprovvista di un lavoro vero e proprio, si sentiva un peso economico per la sua famiglia, già modesta. All’epoca l’istruzione non era ritenuta fondamentale per una donna, quanto più i buoni costumi come fedeltà e sobrietà.

Le malattie mentali, nel genere femminile, erano ritenute causate da aspetti sessuali, ad esempio la stessa isteria, psico-nevrosi caratterizzata da stati emozionali molto intensi, nell’immaginario collettivo, fu sempre ritenuta una malattia appartenente all’universo femminile, infatti il termine stesso, isteria, deriva dal greco hysteron, ovvero utero.

Il vento, la bora, le navi che
vanno via
il sogno di questa notte
e tu
eterno soccorritore
che da dietro le piante
onnivore
guardavi in età giovanile
i nostri baci assurdi
alle vecchie cortecce della vita.
Come eravamo innamorati,
noi,
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire
ma la cosa più inaudita,
credi,
è stato quando abbiamo
scoperto
che non eravamo mai stati
malati.

“A Franco Basaglia” di Alda Merini

 

Testo di Veronica Azzali, Jessica Barbieri, Chiara De Pietri, Loredana Gallingani, Carlo Alberto Santini.