Oggetto del mese

Il Calumet della raccolta di Antonio Spagni

Area delle Pianure dell’America settentrionale
Sioux Orientali (Dakota) il fornello, Cheyenne (?) l’asta
XIX sec. prima del 1841
Donazione Antonio Spagni, 1844

Il calumet è formato da tre pezzi: il fornello, lo stelo e il bocchino.

Il fornello (o pipa) è intagliato in un unico pezzo di catlinite, impreziosita con intarsi di stagno.
Sopra sono colpiti a tutto tondo due nativi con i capelli lunghi, vestiti del solo perizoma, seduti uno di fronte all’altro in modo che le gambe si tocchino e la mano destra che regge un bicchiere.

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    Tale fornello assomiglia ai due esemplari custoditi presso l’American Museum of Natural History di New York e presso il National Museum of Natural History di Washington e che J. C. Ewers attribuisce, assieme all’esemplare custodito presso il Museum fur Völkerkunde di Vienna, alla mano di un unico artista Dakota (cioè Sioux Orientale): il fatto che siano stati tutti raccolti nel medesimo periodo (prima metà 800) permette di ipotizzare che lo stesso artista Sioux Orientale abbia eseguito anche l’esemplare di Reggio Emilia.
    Essi trattano tutti lo stesso argomento, come se rappresentassero diverse scene di uno stesso rituale magico-religioso in cui si sta consumando una bevanda sacra, interpretata come whisky (acqua di fuoco) o più semplicemente come acqua.
    Lo stelo (o asta) è ricavato da un unico pezzo di legno molto appiattito, superbamente decorato da intarsi di osso e di legno nero dalla forma di rombo o trapezio, che si ripetono specularmente nelle due metà longitudinali dell’asta. Rombi e trapezi sono a loro volta campiti con punti di colore opposto probabilmente ad indicare dei numeri (1, 3, 4): essi, secondo la numerologia indigena, unita al significato cosmico attribuito al calumet, potrebbero indicare, il numero uno, l’universo nella sua totalità, il numero tre, l’universo nelle sue tre divisioni verticali (l’inframondo, il mondo di qua e i cieli o mondo di sopra) ed infine, il numero quattro, il mondo di qua, la terra, concepita come un cerchio diviso orizzontalmente in quattro settori determinati dai quattro punti cardinali. Anche i due colori opposti degli intarsi hanno probabilmente un fine che va oltre la pura decorazione: si può ritenere che rappresentino il principio basilare della cosmologia indigena ovvero il principio degli opposti e della loro complementarità: il giorno e la notte, il maschio e la femmina, e così via.
    Parte dello stelo è avvolto da un lungo e continuo intreccio di aculei di porcospino, inoltre una frangia di crini di cavallo e una lunga ciocca di crini bruni sono fissati all’asta mediante l’avvolgimento di tre nastri commerciali di seta.
    Il bocchino è costituito da un osso lungo di uccello che funge da tubicino di tiraggio, inserito nella testa di un’anatra maschio: aggiungendo inoltre la vivacità espressiva data da due pezzetti di feltro commerciale rosso che sostituiscono gli occhi dell’anatra, esso risulta essere di grande effetto.
    Il tipo di intarsio dello stelo, unitamente a quanto scritto da Antonio Spagni nella sua lettera di donazione, induce ad attribuire lo stelo con bocchino ai Cheyenne, i quali sarebbero poi giunti in possesso del fornello Dakota o tramite scambi commerciali o come bottino di guerra o per via cerimoniale.
    Le tre parti (fornello, stelo e bocchino) unite insieme formavano il calumet, cioè la pipa rituale in uso presso gli indiani delle Pianure.
    Il calumet è un oggetto che, quando presenta stelo e fornello uniti, riunisce in sé come nessun altro, la grande profondità dei sentimenti cosmici e del credo religioso di questi popoli: esso rappresenta l’universo, la reciprocità, l’interdipendenza dei sessi ed il mezzo per entrare in relazione con lo stesso cosmo.
    Il fornello era considerato di sesso femminile e relazionato alla Madre Terra, mentre lo stelo era ritenuto di sesso maschile e relazionato all’albero che funge da asse che unisce i tre mondi (inframondo, mondo di qua, mondo di sopra). La stessa catlinite, dal colore rosso, era ritenuta formata dal sangue pietrificato dei guerrieri e dei bisonti morti.
    Al significato cosmico del calumet si aggiunge quello sociale: esso viene usato per suggellare i momenti più significativi della vita della comunità, ma anche del singolo individuo. Per gli Indiani delle Pianure non esistono una sfera sociale ed una religiosa, una sfera d’azione e una mistica: tutta la vita dell’uomo è un’azione di culto e di partecipazione alle grandi forze sacre che si ritiene animino la natura e il cosmo in tutti i suoi aspetti.

    La raccolta di Antonio Spagni oggi

    La raccolta Spagni, di cui il calumet Cheyenne fa parte, è costituita da venticinque reperti e comprende solo oggetti di rango, volti cioè ad evidenziare la posizione sociale dei proprietari (A. Spagni nella sua lettera di donazione al Podestà afferma: “la pipa apparteneva ad un capo della tribù Chayenne, gli altri oggetti ad un capo di tribù Sioux”).
    È una raccolta importante non solo per i pezzi, tutti di gran qualità e prodotti durante l’apogeo di queste culture, ma anche perché ci permette di intravedere qual era il corredo di un capo nei momenti in cui egli metteva in atto la propria funzione in seno alla comunità. Si tratta quindi di oggetti cerimoniali ed altamente simbolici, non d’uso quotidiano.

    Gli oggetti dei nativi delle Grandi Pianure sono entrati a far parte delle collezioni museali a seguito della donazione, avvenuta nel 1844, da parte del reggiano Antonio Spagni, da cui la collezione stessa prende nome. Spagni, nato nel 1809 da famiglia benestante reggiana, esule in terra francese a seguito di una condanna per aver aderito agli ideali della carboneria, emigrò in America del Nord nel 1833, spinto dalle difficoltà economiche e dal suo spirito avventuroso, e qui rimase fino al 1841, praticando svariate attività, fra cui quella di cacciatore di pellicce di bisonte. Nel 1842 rientrò in Francia per poi far ritorno, nel gennaio 1843, nuovamente in America del Nord, a New Orleans e poi a St. Louis, dove fu gestore di un Tobacco Store. Dalle Americhe rientrò definitivamente nel 1844.

    L’iter della donazione ebbe inizio il 30 settembre 1844 quando Antonio Spagni scrisse all’allora Podestà di Reggio Emilia, Conte Giulio Parigi, la lettera di donazione alla “Comunità” di oggetti appartenuti “ai Selvaggi dell’America Settentrionale” per “decorarne” il “Gabinetto di Storia Naturale, tanto rinomato per essere appartenuto al celebre Lazzaro Spallanzani”.

    Probabilmente (come compare dalla cartellinatura del catalogo Cartocci del 1893) A. Spagni acquistò il materiale intorno al 1841 nell’area delle Montagne Rocciose: egli potrebbe aver raggiunto il bacino del Missouri, prospiciente ai primi contrafforti delle Montagne Rocciose, attraverso la via meridionale dei cacciatori di pellicce, cioè la via fluviale Missisippi-Missouri-Platte.

    La sua permanenza presso le genti delle Pianure deve essere avvenuta fra il 1839 e il 1841: egli stesso dichiara di aver vissuto per diciotto mesi presso i Cheyenne (che vivevano tra Missouri e Black Hills) e i Sioux (grande e complessa confederazione di tribù che si estendeva dai tributari orientali del Missisippi fino ai primi contrafforti delle Montagne Rocciose. I Sioux erano divisi in tre grandi gruppi: Dakota, NakotaSioux Orientali -, LakotaSioux Occidentali – parlanti rispettivamente dialetti Santee, Yankton, Teton). Tenendo conto dei dati geografici riguardanti l’origine della collezione è ragionevole pensare che Spagni abbia raccolto la sua collezione presso i Sioux Occidentali, anche detti Teton o Lakota.
    Si può azzardare in particolare che egli abbia vissuto presso la banda degli Oglala, visto che all’epoca questa era in pace con i Cheyenne e si muoveva nelle loro vicinanze.

    L’intera collezione appartenne a due persone sole, un Cheyenne e un Sioux entrambi di rango.