Vetrina 9 – Il souvenir ispirazione della creatività

6 – Il souvenir ispirazione della creatività

La fortuna globale del souvenir ha dato vita ad una vera e propria souvenir-ness, una mania per gli oggetti-ricordo che prosegue nel tempo la sua capacità ispiratrice tanto che la produzione creativa – artistica, artigianale, aziendale – continua a prendere linfa dai tratti, dalle caratteristiche, dagli stereotipi catturati da questi oggetti. E su questa particolare visione tre sono i focus che si è voluto illuminare:

il souvenir come poetica d’artista, presente ad esempio nella serie Greetings di Angelo Davoli in forma di cartolina vintage, sulla quale l’artista ha immaginato città distopiche congelate in un futuro livido e sospeso nel tempo;

l’oggetto emblematico della souvenir-ness, il gadget delle relazioni aziendali;

il costume tradizionale, abito-souvenir che accompagna il viaggio del turista, ma anche quello del migrante, portato culturale e identitario e insieme elemento espressivo e creativo, sempre in evoluzione.

Approfondimenti:

Te lo ricordi il futuro?
Te lo ricordi quando il 2000 sembrava impossibile da raggiungere, quando pensavi che “nel 2000 avrò 28 anni”, ed era semplicemente una cosa inimmaginabile, ridicola?
Sì, me lo ricordo, ma non ho idea di cosa fosse il futuro, in fondo dentro di me sapevo che non esisteva, che era una specie di sogno provocato dalla febbre, un foglio di carta a quadretti che si stropicciava con un rumore insopportabile.
Il futuro, che non ci è mai contemporaneo.
Adesso immaginate.
Le mani di un essere umano che scavano nella cenere. Un mondo grigio, figlio di una catastrofe di qualche tipo che ha sconvolto la vita sul pianeta terra. Niente più cieli, niente più luci, solo un grande nulla desertico, asciutto e crudele. (Forse è il futuro, per tornare alla domanda di partenza, forse è solo un’altra storia). Le mani scavano, perché sembra che lì sotto, a pochi centimetri dalla disperazione della superficie, ci sia qualcosa, una forma rettangolare, un angolo. Sono le mani di una donna, sta camminando da giorni da sola. Non sappiamo se o cosa abbia mangiato, non sappiamo chi sia e cosa le sia successo. I suoi vestiti sono impolverati, le mani sono secche, una traccia di smalto scura è rimasta su un’unghia. La cenere è più dura di quanto noi avremmo immaginato, ma usando le dita riesce a recuperare quell’oggetto. Ci soffia sopra e poi lo guarda. È una cartolina, con scritto “Greetings”. Panorami di una città in un altro tempo. La fissa a lungo, pensiamo che stia provando a decifrarla. Il retro è una macchia scura informe, non ci sono indirizzi, nomi, messaggi d’amore o di semplice saluto. Ci sono solo quei panorami. A questo punto lei potrebbe mettersi a piangere, per ciò che era ed è scomparso. Oppure potrebbe sorridere dell’ingenuità di quelle rappresentazioni, o ancora potrebbe non avere idea di cosa sia l’oggetto che ha raccolto dalla cenere. Tutte queste possibilità sono valide nello stesso modo.
una notte la sua ombra
gli riapparve
s’allungò impallidì
scomparve
È una poesia filastroccata di Samuel Beckett. Cercavo qualcosa che parlasse del futuro, mi è sembrata adatta. Il futuro è un’ombra che scompare, il futuro non ce lo possiamo mai permettere. “Nel futuro – dice Vija Kinski, esperta di teoria in Cosmopolis di Don DeLillo – saremo tutti alti e felici. Ecco perché il futuro fallisce. Fallisce sempre. Non potrà mai essere il luogo crudele e felice in cui vogliamo trasformarlo”. Non siamo proprio più capaci di immaginarlo, un futuro, sosteneva Mark Fisher, il capitalismo estremo lo ha cancellato, la cultura di massa lo ha seppellito. Abbiamo perso la capacità di desiderare mentre trasformavamo ogni momento in un desiderio da soddisfare immediatamente.
Che desiderio c’era nelle cartoline di Greetings? Secondo Angelo Davoli si trattava di riflessioni sui luoghi comuni e sull’insostenibilità del convenzionale. Noi oggi possiamo vederci un gusto della giustapposizione, un intersecarsi di luoghi e tempi, una storia combinatoria alla Italo Calvino, se volete, o ancora una distopia in atmosfera orwelliana. Oppure possiamo spostare leggermente lo sguardo dall’oggetto che vogliamo vedere (come pare facciano i cecchini o gli astrofili al telescopio ottico) e lasciare che si componga lentamente l’immagine della nostra vita perduta e passata, ma collocata in un altroquando. Come sarebbe stata? Di chi ti saresti innamorato? Che cosa avresti pensato camminando all’ombra di quel razzo?
(Di notte sogno città che non hanno mai fine)
Leonardo Merlini
Giornalista

Tra le varie passioni d’oggetto, quella per il souvenir aziendale o gadget promozionale ha scavato il proprio spazio in maniera poco onorevole ma efficiente, a colpi di grandi tirature, pervasività e irresistibile gratuità. Una pratica passata per lo più inosservata, nonostante i numeri tutt’altro che trascurabili: 920 miliardi di dollari il volume d’affari mondiale stimato dell’industria del gadget nel suo complesso (The Business Research Company, 2025), pari al valore di Nvidia e superiore a quello di Apple o, per dirla alla vecchia maniera, equivalente ai ricavi mondiali dell’intera industria del petrolio.
Ma cos’è un gadget? La definizione offerta dalla Treccani rileva le connotazioni ironiche e spregiative del termine, sottolineando come la gratuità – intesa come scarsa o nulla utilità – sia un tratto distintivo di questa categoria di oggetti, che si tratti di omaggi o di acquisti.
Il più disincantato Oxford Languages Dictionary per Google – che si distingue per l’intento dichiarato di includere anche i termini gergali e dialettali, le parolacce e i modi di dire – definisce il gadget in maniera brillante: come un oggetto “francamente superfluo”.
Il souvenir aziendale è certamente un gadget, ma giveaway o freebie non sono suoi sinonimi, non coprendo esattamente la stessa area di significato ed essendo utilizzati per indicare esclusivamente cose di scarso valore.
Nella piccola storia dei souvenir aziendali, invece, accanto a oggetti giveaway che hanno il solo scopo di veicolare un marchio aziendale, si annovera una miriade di manufatti progettati con cura da anonimi ma anche da autori, allo scopo di offrire una rappresentazione convincente e avvincente della corporate identity o del concept di un prodotto da promuovere. Una funzione che può anche convivere con altre attinenti alla sfera dell’utilità, le quali tuttavia restano secondarie o addirittura accidentali, in forza della gratuità e della irrilevante utilità iscritte nello statuto dell’oggetto.
Per quanto riguarda il valore, la caratteristica dei gadget aziendali di non essere il più delle volte acquistabili, finisce col farli apparire ancor più desiderabili, essendo taciti o misteriosi i privilegi necessari ad ottenerli.
In sostanza, il souvenir aziendale è un oggetto che ha una funzione prettamente comunicativa, che viene mantenuta anche quando è compresente una funzione d’uso secondaria o strumentale, comunque non necessaria. La funzione principale consiste nel “far credere” che l’azienda o un prodotto incarnino certe caratteristiche, così da essere percepiti come desidera chi li ha prodotti.
In questa prospettiva, che scopo avrebbero allora quegli oggetti di uso comune – un accendino, un portachiavi, ecc. – che semplicemente veicolano il marchio? Il loro intento è quello di “far ricordare” che è sempre un “far credere”, ma c’è di più. La scelta di tenere questi oggetti accanto a sé, al di là dell’utilizzo, comporta in qualche modo un’accettazione e l’idea bizzarra – da parte del produttore – che possano agire da “oggetti magici”, capaci di operare una trasformazione in forza della prossimità, facendo aderire chi li possiede ai valori del brand.
Il souvenir aziendale sembra avere questa ragion d’essere, distinguendosi dal souvenir di viaggio per l’intento manipolatorio premeditato ed esplicito e dall’oggetto in vendita per la funzione prioritariamente comunicativa; caratteristiche che, unite alla gratuità e sgravate dalle responsabilità del good design, fanno dei gadget aziendali una categoria di oggetti sfacciatamente superflui, amati e collezionati perché più liberi, anche se nati in cattività.
Paola Righi
Esperta di comunicazione


L’etnografia (dal greco: ethnos “popolo” e grapho “scrivere” – letteralmente “descrizione del popolo”) registra informazioni su diversi popoli, categorizzandone valori, religioni, rituali, sistemi e anche abbigliamento.
L’abbigliamento è una vera e propria radice culturale, un aspetto fondamentale dell’identità di un popolo, l’interpretazione del suo DNA. È da sempre stato un potente strumento di comunicazione che riflette la storia, i valori, le credenze e le tradizioni di una società. Non solo, ma nel tempo diventa espressione di una civiltà, una continuazione o un distacco totale rispetto alla sua storia, un percorso in continua evoluzione che rispecchia i tempi e le vicende storiche in cui vive. È la reale e naturalissima espressione dell’evoluzione sociale.
Sarebbe scorretto e riduttivo definire l’abbigliamento solo come un qualcosa che si indossa, come un aspetto pratico della vita quotidiana, quando è da sempre interpretazione dei suoi tempi, non solo a livello storico e sociale, ma anche personale, in quanto pura ed autentica espressione della nostra individualità, all’interno di una comunità ben distinta.
La storia del costume affascina costantemente studiosi ed appassionato della materia, non solo dal punto di vista etnografico, sociale ed antropologico, ma anche come viva e semplice curiosità legata al viaggio dei popoli, alle contaminazioni tra culture, all’influenza tra diverse tradizioni.
La moda si definisce infatti come un vero e proprio fenomeno sociale dato dal contesto storico, geografico e culturale, la condivisione di un modello estetico preciso e riconoscibile. Da sempre si ispira alla società e ne riflette in qualche modo i suoi valori, con un’interpretazione estremamente creativa, ma figlia del suo tempo e degli influssi che riceve dallo studio di altri popoli, da altri rituali e tradizioni.
Pensiamo alla Regina di Francia Maria Antonietta, che, già nel XVIII secolo, era considerata un riferimento per l’abbigliamento dei suoi tempi, risultato del mix di diverse culture, con tessuti per i suoi abiti provenienti da tutto il mondo. Un punto di riferimento per quel momento storico che ha influenzato la moda per diversi decenni e che ancora oggi diventa fonte di ispirazione anche tra i designer più famosi, da Vivienne Westwood ad Alexander McQueen, da Marc Jacob a molti altri che attingono dall’immaginario storico costruito da personaggi di questo calibro.
La moda è quindi componente imprescindibile delle nostre radici culturali, sociali, identificativa della nostra quotidianità e parte integrante delle nostre vite. È un souvenir del passato, ma ci aiuta a comprendere il presente. È testimone di viaggi, influenze, correnti, ispirazioni, rivoluzioni e vive di tutte le sfumature più profonde delle nostre vite. Apparentemente frivolo, ma in realtà estremamente radicato, addirittura precursore di cambiamenti significativi della società civile.
Modateca Deanna, Centro Internazionale di Documentazione Moda, da ormai più di 20 anni ha l’obiettivo di trasmettere questi messaggi di valore e cultura legati alla moda, conservando le creazioni, realizzate dal Maglificio Miss Deanna, in collaborazione con le maggiori Griffe dell’epoca, dagli anni Cinquanta, e continuando a collezionarne di nuove. Dal 2016 Modateca Deanna si dedica inoltre alla formazione di giovani talenti della moda, attraverso un percorso di studio articolato e specializzato nella maglieria: il Master di I Livello in Creative Knitwear Design.
Il Master di Accademia Costume & Moda, sviluppato con la collaborazione di Modateca Deanna, è un progetto formativo altamente professionalizzante, l’unico ad avvalersi della collaborazione di oltre cinquanta partner della filiera, tra filature, aziende, brand e laboratori specializzati. Si rivolge a laureati e a professionisti che intendono completare o approfondire la propria formazione nella maglieria, attraverso un’esperienza formativa estremamente specifica e riservata solo ai professionisti del settore, che abbraccia il processo creativo del Kintwear Design a 360°.
Gli studenti del Master, provenienti da tutto il mondo, realizzano ogni anno speciali capsule collection come progetto finale di tesi, risultato delle loro origini, della loro cultura, delle influenze del presente e della loro personalità. Un ulteriore arricchimento per comprendere quando sia radicato nell’abbigliamento, nella moda, l’aspetto più culturale e profondo del nostro vissuto. Attraverso questo viaggio portano fisicamente e metaforicamente un po’ della loro cultura e raccolgono la nostra, in un interscambio creativo, innovativo e ricco di storia e valore.
Modateca Deanna custodisce, preserva, aggiorna e integra costantemente i suoi archivi con l’obiettivo di essere oggetto di studio, di ispirazione, di riflessione e analisi dei valori, dell’identità che le sue collezioni trasmettono, in un continuo viaggio tra passato, presente e futuro. Un intreccio di radici e identità, tra creatività e cultura.
Modateca Deanna

DIDASCALIE VETRINA 9
GREETINGS

Angelo Davoli, Greetings
Dipinti ad olio su stampa laser su carta su Mdf, 2006
Archivio Angelo Davoli

Angelo Davoli, Greetings
Pieghevole, pezzo unico, cartoline su carta antica, anno 2006
Archivio Angelo Davoli

Ossimoro: figura retorica che consiste nel riunire in modo paradossale due termini contradditori nella stessa espressione.

Questo ciclo di lavori vuole essere una riflessione sui nostri luoghi comuni, intendendo non solo i luoghi fisici, ma anche i nostri luoghi comuni mentali.
Con il paradosso in realtà cerco di dimostrare l’insostenibilità del convenzionale.
Utilizzando il mezzo della pittura cerco di creare una mimesi fra il reale e l’immaginario, fra il vecchio e il nuovo (naturale-artificiale), realizzando così una nuova idea di città, un luogo in cui le coordinate spazio-tempo non sono più così chiare e nette.

La cartolina (oggetto ormai obsoleto), insieme ai souvenir e a tutta l’oggettistica kitsch, rappresenta un archetipo. L’immaginario collettivo la identifica ancora come la città, il luogo, il nostro esserci.
La dimensione altra viene così ridefinita e consacrata dalla cartolina.
La realtà esiste solo se entra nel sistema della comunicazione.
Angelo Davoli