Art Ad.Virus | MALATTIA archeologia

Da sempre, in tempi, luoghi e culture diverse, la paura della morte causata dalla malattia ha portato l’uomo a rivolgersi al divino al fine di ottenere guarigione o protezione.
Spesso, oggi come in passato, tale richiesta prevede che il devoto si rechi in pellegrinaggio verso il luogo di culto, dove dedicherà al dio le proprie offerte. Tra queste, la tipologia più nota è quella dell’ex voto anatomico, la cui tradizione è particolarmente diffusa in antichità nel mondo greco, etrusco e romano e tuttora permane in alcune zone dell’Italia meridionale e dell’Europa. Tali oggetti, prodotti in massa, consistono in riproduzioni miniaturistiche di varie parti del corpo umano (braccia, gambe, mani, orecchie, piedi e teste) e di organi interni (viscere, intestini, cuori) e possono essere di vario materiale. In antichità venivano offerti per ricevere la sanatio dal male da cui si era afflitti (ma anche per favorire la fertilità nel caso in cui i soggetti riprodotti fossero i genitali maschili e femminili) o per ringraziare la divinità della guarigione conseguita (suscepto).
All’interno dei Musei Civici di Reggio Emilia sono conservati due esemplari risalenti al periodo etrusco: realizzati in bronzo, rappresentano una gamba umana che indica la parte da sanare o già sanata, sormontata da un volatile appollaiato come offerta. Entrambi provengono dal sito di Servirola presso San Polo d’Enza e rimandano per tipologia agli ex voto rinvenuti in altri contesti etrusco-padani dove sono attestati culti salutari (Villa Cassarini, Marzabotto, Adria).

Bronzetti con gambe umane sormontate da volatili, forse ex voto anatomici, Servirola di San Polo d’Enza, Reggio Emilia, Musei Civici / Museo “Gaetano Chierici” di Paletnologia. Foto © Carlo VanniniEx voto anatomici, Musei Civici di
Reggio Emilia (Foto C. Vannini) 

Il ricorso alla sfera cultuale per ottenere la guarigione non deve però indurre a credere che questo fosse l’unico approccio alla malattia conosciuto dagli antichi. La medicina e la chirurgia, infatti, erano esercitate già dagli egizi, dai greci, dagli etruschi e dai romani e molti sono gli autori classici che, affascinati da tali discipline, hanno descritto nelle loro opere le tecniche e gli strumenti utilizzati. La maggior fonte d’informazioni sulla pratica e la professione medico-chirurgica di età imperiale romana è costituita dal “De Medicina” di Aulo Cornelio Celso che nel VII libro nota come «Il chirurgo bisogna sia giovine, o almeno non tanto in là con gli anni; di mano forte, ferma, che non gli tremi mai e che si serva bene non men della sinistra che della destra; di vista acuta e netta; coraggioso, pietoso sì, ma in modo da non pensare ad altro che a guarire il suo malato, senza che per le grida di lui sia spinto né a far più presto del dovere, né a tagliar meno del necessario, come se a quei lamenti rimanesse in tutto e per tutto indifferente» (De Medicina, VII, 4). Ad ogni operazione descritta nel trattato corrispondono strumenti diversificati (bisturi, pinze, tenaglie, forbici in metallo), oggi noti anche grazie ai ritrovamenti archeologici effettuati a Ercolano, Pompei e in tante altre città d’età romana. Un manico in bronzo, rinvenuto nel territorio reggiano e ora conservato presso i Musei Civici di Reggio Emilia, è presumibilmente riferibile a questi oggetti del mestiere. È costituito da una base quadrangolare con incisione a X che rimanda proprio ad alcuni esemplari provenienti dai siti vesuviani. La figurina di Erote nudo e stante con le ali aperte, posizionato sopra la base, doveva forse comunicare un messaggio di buon augurio al chirurgo e al paziente.

Manico di strumento chirurgico,
Musei Civici di Reggio Emilia

 

Martina Ciconte
Maria Chiara Mastroianni
Servizio civile volontario

 

BIBLIOGRAFIA
F. Papparella,
Storia della medicina attraverso gli ex voto anatomorfi in “Mefisto. Rivista di medicina, filosofia, storia”, vol. 3, n. 1, Pisa, 2019, pp. 43-62.
M. Cristofani,
Una dedica ad Asclepio da Felsina e i culti salutari in Etruria settentrionale in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, serie 3, vol. 15, n. 1, Pisa, 1985, pp. 1-5.
R. Macellari,
Gli Etruschi nel reggiano, Reggio Emilia, 1988, p. 17.
I. Damiani, A. Maggiani, E. Pellegrini, A. C. Saltini, A. Serges,
L’Età del ferro nel reggiano. I materiali delle collezioni dei Civici Musei di Reggio Emilia, Reggio Emilia, 1992.
M. Bolla,
Bronzi figurati romani dal territorio reggiano nel Museo Chierici di Reggio Emilia in R. Macellari, J. Tirabassi (a cura di), “Pagine d’Archeologia. Studi e materiali”, Reggio Emilia, 2007-2011.
E. Moscetti,
Una collezione di strumenti chirurgici romani nel Museo archeologico di Monterotondo in “Annali. Associazione nomentana di Storia e Archeologia”, Roma, 2015, pp.111- 116.
S. De Carolis (a cura di),
Ars Medica. I ferri del mestiere. La domus del “Chirurgo” di Rimini e la chirurgia nell’antica Roma, Rimini, 2009.

 

Art Ad.Virus è un progetto nato e ideato con la congiunzione di diversi eventi più o meno inaspettati: l’evolversi della pandemia da Covid, il sopravvivere della cultura (e dell’arte) nel mezzo di questa e l’elezione di Parma (e anche Reggio Emilia e Piacenza) come Capitale Italiana della Cultura 2020+2021. Di fronte a questa situazione, abbiamo capito quanto fosse importante che la cultura non restasse al suo posto, ma uscisse dai luoghi a questa deputati, chiusi per il lockdown; abbiamo quindi scelto alcune tematiche che si susseguiranno con scadenza mensile, ognuna delle quali approfondita in relazione ai diversi ambiti dell’arte figurativa: pittura scultura, archeologia, performances, cinema e tanti altri. Perché questo nome? Ci siamo ispirati alla figura lavorativa dell’Art Advisor, a cui abbiamo preferito sostituire parte del nome con un termine attualissimo: virus. È in realtà un augurio: di farci contagiare inaspettatamente dall’arte e dalla cultura che Reggio Emilia e il suo territorio offrono.

Art Ad.Virus è un progetto a cura di Martina Ciconte, Chiara Eboli, Benedetta Incerti, Maria Chiara Mastroianni, Lorenzo Zanchin del Servizio civile volontario