Archeologia nel Reggiano

La sequenza espositiva dedicata all’archeologia della provincia di Reggio Emilia costituisce il perno su cui si imposta l’intera collezione. A sottolineare la sua centralità, gli armadi che la rappresentano si dispongono con andamento anulare attorno alla spina che divide la sala in senso longitudinale.
Vi si documenta l’archeologia del Reggiano dall’ “Archeolitico” (Paleolitico) all’Età romano-barbarica (Alto Medioevo). Oltre metà della sequenza espositiva è dedicata alla Preistoria e Protostoria. Un’ampia trattazione si riserva alle Terramare ed all’insediamento etrusco di Campo Servirola presso San Polo d’Enza. L’archeologia dei tempi storici, a rigore fuori dell’ambito della Paletnologia, viene presentata secondo gli stessi principi, esponendo i manufatti della vita quotidiana suddivisi per tipologie di oggetti.


Il termine indicava per i paletnologi del secolo scorso l’”età della pietra grossolanamente scheggiata“.
L’interesse per questa fase rimase marginale nel lavoro scientifico di Chierici. Lo studio della più alta preistoria lo portava a considerare le origini dell’uomo assai più antiche di quanto fino allora indicato nella cronologia biblica tradizionale. Egli non ritenne però di aderire, anzi contrastò, la teoria professata da Darwin e dai suoi seguaci italiani della “trasformazione della bestia nell’uomo”. Una ricca industria litica è tuttavia riunita in una vetrina della Collezione di Paletnologia. Si tratta di manufatti raccolti nella fascia pedecollinare reggiana. Di grande interesse sono le annotazioni topografiche, stratigrafiche e geologiche di pugno di Chierici, che si leggono ancora oggi sui reperti. La maggior parte di questi risale alla fase più recente del Paleolitico Inferiore (circa 200.000 anni or sono).

Al “periodo di transizione dall’Età della Pietra a quella del Bronzo“, un lungo arco di tempo che corrisponde all’avvicendarsi delle culture neo-eneolitiche (V-III millennio a.C.), sono dedicate ben 15 vetrine.
Il Neolitico indica, secondo la definizione di Chierici, l’”età della pietra finemente scheggiata o levigata”. Vi identificava una sola cultura, quella dei “fondi di capanne”, caratterizzata dall’associazione di ceramiche a decorazione incisa con strumenti di selce scheggiata, fra cui tipici quelli a forma di rombo. Con l’espressione “fondi di capanne” Chierici intendeva riferirsi alle capanne o ad altre strutture a pianta circolare infossata nel terreno, messe in luce nella fascia pedecollinare, come ad Albinea, oppure, come a Campegine, in corrispondenza di lievi culminazioni naturali della media pianura. Sono le tracce dei più antichi insediamenti stabili che si conoscano nel Reggiano.
Di rilievo, le ceramiche di Rivaltella e di Albinea, ed i vasi raccolti nel pozzo di Razza presso Campegine.

Il termine, coniato da Chierici, indica l’epoca di transizione fra l’età della pietra e quella del bronzo, caratterizzata dall’uso contemporaneo di strumenti in rame, in selce scheggiata e in pietra levigata, nel corso del III millennio a.C.
A questa età risalgono una splendida ascia in giadeite, alcuni pugnali foliati, una collana con vaghi di marmo dalle Fornaci di Sant’Ilario d’Enza.
Un’intera vetrina è dedicata alla “caverna sepolcrale” detta Tana della Mussina. Lo scavo che Chierici vi condusse permise di portare alla luce almeno 18 scheletri umani, alcuni con evidenti tracce di combustione, che provano l’uso sepolcrale della grotta. Assieme alle ossa si rinvennero molti manufatti in parte riferibili ai corredi funerari, tutti purtroppo sconvolti già in antico. Si riconoscono ceramiche la cui superficie esterna è trattata nella tecnica “a squame”, asce in pietra verde levigata, un pugnale in selce, alcuni strumenti in rame, perle ed altri ornamenti in osso.
Le sepolture in grotta o entro riparo sotto roccia proprie del III millennio a.C. sono diffuse in larga parte dell’Italia centro-settentrionale e particolarmente nella fascia appenninica.

Con questa definizione si indica l’età caratterizzata dal crescente uso della lega di stagno e rame.
Rare e discontinue sono le testimonianze del Bronzo Antico (XIX-XVII secolo a.C.). Più tardi il Reggiano, come tutta la pianura padana centrale, è caratterizzato dalla Cultura della Terramare (XVI-XIII secolo a.C.).
“Terra marna” indicava fin dal Settecento i terreni resi fertili dai depositi di antichi insediamenti: i paletnologi emiliani dell’Ottocento riferirono il termine ai numerosi, grandi ed organizzati abitati del Bronzo medio e recente.
Un modellino di terramara esposto nella vetrina 18 rispecchia il punto di vista del Chierici sulla struttura di questi insediamenti. Ogni abitato era fondato nei pressi di un corso d’acqua. In taluni casi lo delimitava un terrapieno di forma quadrangolare, a sua volta circondato da un fossato, che veniva scavato con il concorso di tutta la comunità. Lo spazio insediativo, delimitato con opere tanto impegnative, poteva estendersi su una superficie anche di molti ettari. All’interno del bacino quadrangolare, che Chierici immaginava invaso dall’acqua, le abitazioni (capanne di legno con pareti intonacate di argilla) si disponevano in modo ordinato. Le file di pali individuate in alcuni villaggi sembra fossero destinate a sostenere il tavolato sul quale si impostavano le capanne.
L’esposizione dedicata all’Età del Bronzo inizia con monte Venera, che per l’intensa produzione metallurgica fu ritenuto l’insediamento emblematico di questa fase, e prosegue con una ricca tipologia di materiali divisi per classi materiche, ma non per luoghi di provenienza. Si segnalano le rotelle craniche della Montata e del Monte di Montecchio, numerose anse cornute, una ricca industria su osso e moltissimi oggetti in bronzo, fra cui una spada da Cavazzoli, un pugnale da Cadè, i ripostigli di Baragalla e di Monte Pilastro, la carica di crogiolo di Castellarano.
L’”Età del Ferro – I periodo” illustra la necropoli protovillanoviana di Bismantova (XI-X secolo a.C.), nella quale è attestato il solo rito funebre della cremazione. Le tombe erano cassette di arenaria destinate a contenere i vasi cinerari spesso di forma biconica.

Al “II periodo dell’Età del Ferro” Chierici attribuiva i sepolcri di S.Ilario d’Enza, con tombe a inumazione e a cremazione, in parte strappate dal terreno di scavo e trasportate in Museo (VI secolo a.C.).
Il “III periodo dell’Età del Ferro” corrisponde al momento di maggiore fioritura dell’Etruria padana (V secolo a.C.), nel quale si collocano le fasi urbane di Felsina e Marzabotto. In questo periodo fioriscono gli abitati di Castellarano e di Servirola presso S. Polo d’Enza, caratterizzati da impianti di tipo urbano regolari ed orientati, da edilizia in muratura, dalle importazioni di ceramica greca, da iscrizioni in lingua ed alfabeto etrusco.
Ai materiali da Servirola è riservata un’ampia sezione espositiva, nella quale si segnalano testimonianze di culto (bronzetti ed iscrizioni votive) e numerose ceramiche attiche a figure rosse. Fra le strutture messe in luce a Servirola vi erano alcuni pozzi, due dei quali furono esplorati sistematicamente. L’interpretazione come pozzi sepolcrali che ne diede Chierici oggi non è più seguita. L’uso di queste strutture per l’approvvigionamento idrico potrebbe essere provato dal rinvenimento di secchi per acqua e di uncini utilizzati per calare i vasi sul fondo del pozzo.
Dal “pozzo del margine” provengono otto lingotti di rame ferroso segnati con un’impronta a rilievo (aes signatum).

Il Chierici non curò di distinguere i materiali di età romana secondo le provenienze; piuttosto li ordinò per materia e per classi (bronzetti, lucerne, bolli laterizi, ecc.). Le epigrafi (collocati nel Portico dei Marmi) e i mosaici (collocati nell’Atrio) vennero isolati dai complessi archeologici di appartenenza.
La colonia di Brixellum (odierna Brescello), i municipia di Regium Lepidi (odierna Reggio Emilia) e di Tannetum (odierna Taneto-S.Ilario d’Enza), il vicus di Luceria (com. di Canossa) costituiscono i poli della penetrazione romana nel Reggiano. Il sistema viario era imperniato sull’asse della via Aemilia (187 a.C.), buona parte dell’agro era ordinata nelle centuriazioni, che includono poderi, strade e canalizzazioni in un unico ordito a trame ortogonali.
Di particolare interesse è la documentazione archeologica relativa al sepolcreto di Luceria (una tomba a cremazione formata da tegoli custodiva un’urna di bronzo e un ricco corredo formato da monili e monete d’argento) ed alle necropoli attorno a Brixellum (corredi funebri della gens Julia, fra i quali si segnalano i giocattoli in piombo di Julia Graphis). Statuine di divinità egiziane e di ushabti potrebbero attestare la diffusione di culti orientali nel Reggiano.

Sotto questa impropria dicitura Chierici intese riunire i corredi di sepolture longobarde, che infatti costituiscono la maggior parte dei materiali qui ordinati (VI-VII secolo d.C.). Vi si trovano però oggetti di altre popolazioni e di epoca sia anteriore che più tarda. La presenza dei Longobardi nel Reggiano è attestata dagli scavi dell’Ottocento in numerose località: Reggio, Castellarano, Montecchio, Ciano, San Polo, Sant’Ilario
Si segnalano il corredo funerario della cristiana Mavarta (la cui epigrafe sepolcrale è esposta nel Nuovo Museo romano); corredi funerari da Montecchio, con finiture in oro e in argento, una fibbia di cintura in cristallo di rocca di tipo goto. Alcune tombe di Castellarano hanno restituito armille in bronzo, una fibula in bronzo dorato, armi in ferro, fibbie ed altre parti di cinture maschili ed un umbone di scudo da parata in bronzo e ferro.

Lydion dall’abitato etrusco di Servirola – Museo Chierici, vetrina 37


Appartiene ad una serie di piccoli contenitori per unguenti che trae nome dalla regione della Lidia in Asia Minore (odierna Turchia). Il nostro esemplare, di produzione greco-orientale, si data al terzo venticinquennio del VI secolo a.C.