Museo di Storia della Psichiatria
Seconda Sala: le tematiche
L’uso della fotografia al S. Lazzaro

Per la psichiatria, la nascita della fotografia sembrò dare una risposta lungamente cercata al suo bisogno di ancoraggio all’immagine, al corpo, delle proprie ipotesi e delle proprie certezze.
Tra i primi a farne uso troviamo Alexander Morison a Springfield, in Gran Bretagna, che introdusse intorno al 1840 un uso evolutivo della fotografia, confrontando l’immagine dello stesso soggetto, malato e poi guarito. Il suo successore, lo psichiatra Hugh Welch Diamond di Norwich (1809-1886), sorvegliante del manicomio del Surrey, nel dicembre 1852 partecipò con due foto di alienati alla prima mostra collettiva di fotografia svoltasi a Londra e propose l’uso della fotografia come la base scientifica della diagnosi del medico.
Il neurologo francese Jean-Martin Charchot, all’ospedale psichiatrico parigino della Salpêtrière (dove esercitò dal 1862), per primo fotografò le malate per studiarne il rapporto tra i tratti somatici e la malattia: lì fu creato nel 1878 il Laboratorio Fotografico diretto da Albert Londe, che riprese in migliaia di fotografie le pose delle isteriche, avendo concepito una macchina fotoelettrica specificamente attrezzata per lo studio dei movimenti. In Italia il suo esempio si unì all’influenza delle teorie sulla fisiognomica di Cesare Lombroso, che sosteneva di poter leggere nei tratti del volto la predisposizione all’alienazione (cfr. L’uomo delinquente, 1876).
Al San Lazzaro la fotografia venne introdotta da Augusto Tamburini (direttore dal 1877 al 1907), e l’Istituto reggiano divenne anche per questo un modello per gli altri ospedali psichiatrici italiani.
Di quell’epoca ancora oggi si conservano la strumentazione originale del laboratorio (affidato prima al guardarobiere Poli, poi all’ex degente Morini entrambi appassionati di fotografia), oltre al ricco archivio fotografico, costituito da oltre 1500 fotografie, organizzate in album tematici. I nuclei principali riguardano i ritratti dei pazienti realizzati nel laboratorio interno, le immagini degli edifici del San Lazzaro, le scene della vita comune e le attività lavorative, realizzati da fotografi professionisti come Vaiani, Fantuzzi e Badodi.