#MuseoPOP / La nave sepolta

Nell’immaginario del cinema e del pubblico gli archeologi sono spesso personaggi d’azione che passano molto più tempo a fuggire dai nemici o risolvere enigmi per salvarsi la vita, che non sugli scavi e nelle biblioteche.
Fa eccezione il lungometraggio “La nave sepolta”, diretto da Simon Stone, interpretato da Carey Mulligan, Ralph Fiennes, Lily James, Ben Chaplin, e prodotto da Netflix, che racconta lo scavo archeologico di Sutton Hoo in modo realistico e attendibile, ispirandosi all’omonimo romanzo di John Preston (editrice Salani, 2021).

Il sito, risalente al VI e VII secolo d.C., ha restituito i resti di una nave funeraria e moltissimi manufatti di grande valore archeologico e artistico che hanno finalmente gettato nuova luce sul regno dell’Anglia orientale e sul periodo altomedievale inglese, spesso percepito al confine tra leggenda e storia.

Lo scavo iniziò nel 1938 sul terreno di proprietà della vedova Edith May Pretty, sul quale già da tempo correvano voci di “tesori sepolti”: la donna decise quindi di rivolgersi all’Ipswich Museum, ed ottenne la collaborazione di Basil Brown, un ex proprietario terriero locale e archeologo autodidatta ma molto competente, che lavorava per il museo.

Basil Brown e  J. K. D. Hutchison sullo scavo, da un filmato d’epoca
foto Harold John Phillips family, Public domain, via Wikipedia

 

Quasi subito ci si rese conto dell’importanza della scoperta, quindi lo scavo proseguì sotto la guida di diverse istituzioni e archeologi esperti, per riuscire a completare i lavori nell’imminenza della seconda guerra mondiale: nel 1940 lo scavo venne chiuso e tutta la zona fu accuratamente ricoperta per proteggerla, e l’ampio terreno venne addirittura utilizzato per esercitazioni con veicoli militari. In seguito la signora Pretty decise di donare i ritrovamenti alla nazione per condividerne il significato e il valore con tutti.
Gli oggetti più importanti sono attualmente esposti al British Museum di Londra, e tra questi spicca il bellissimo elmo che nasconde nelle fattezze di un guerriero un uccello con le ali spiegate.
Gli altri reperti sono visibili all’Ipswich Museum, mentre presso il sito è allestito un Centro Visitatori con ricostruzioni e repliche.

Elmo da Sutton Hoo
British Museum, Public domain, via Wikimedia Commons
foto Geni 

 

Fermaglio per abiti in oro e granati, lavorato a cloisonnè, da Sutton Hoo
British MuseumCC BY-SA 2.5, via Wikimedia Commons, foto RobRoy

Figure centrali della vicenda sono la proprietaria del terreno, Edith May Pretty, e Basil Brown: nel film sono evidenti è evidente la dedizione e la vasta conoscenza dell’archeologo, che coinvolge anche gli abitanti del villaggio e la signora Pretty, spesso presente sullo scavo nonostante la salute precaria, decisa a difendere il valore culturale e universale della scoperta.

Il contatto con il passato che emerge dal terreno suscita in tutti emozioni e domande, su se stessi e sulla propria vita, ma anche sui legami con il passato e su quello che lasceremo a chi verrà dopo di noi.
Naturalmente viene mostrato anche l’entusiasmo e il lavoro quotidiano degli archeologi, anche se con qualche “licenza cinematografica”: in una scena il responsabile degli scavi affida a Margaret “Peggy” Piggott il compito di scavare nella parte più delicata della nave, proprio per la sua corporatura leggera e minuta. Questa scena è solo illustrativa di uno dei problemi tecnici che si presentano quotidianamente nello scavo di un sito, perché in realtà la Piggott venne ingaggiata in quanto archeologa esperta.
Allo stesso modo le età di alcuni personaggi sono state alterate per esigenze di casting o per aumentare l’effetto drammatico: Edit Pretty e suo figlio sono interpretati da attori molto più giovani (rispetto all’età che avrebbero avuto all’epoca) e questo consente di raccontare in modo più efficace il rapporto affettivo che si crea tra loro e Basil Brown.

Attraverso una serie di scene significative il film mette in evidenza sia la drammaticità del momento storico, che sospenderà le vite di tutti i protagonisti, ma fa anche emergere le loro fragilità: alcuni momenti mostrano il matrimonio già in crisi di Peggy Piggott, o il rapporto tra Brown e la propria moglie, che lo supporta e lo incoraggia anche a costo di non vivere vicino a lui per lunghi periodi.
Raccontando inoltre i conflitti con gli archeologi professionisti, e il loro atteggiamento spesso arrogante, il film tenta anche di restituire parte del merito a Basil Brown, il cui contributo fu oscurato per anni in quanto privo di un curriculum convenzionale.
La vicenda è raccontata con grande pacatezza e un’atmosfera poetica e quasi incantata, sorretta da una bellissima fotografia e inquadrature che spaziano nel paesaggio, ma anche lunghi primi piani degli attori per coglierne tutta l’intensità: solo la colonna sonora a volte risulta un po’ invadente.

Anche i momenti finali in cui la scoperta viene presentata al pubblico sono velati da una atmosfera riflessiva, che vuole comunque ricordare le persone e il loro grande lavoro necessario per conservare e riportare alla luce la storia, perché possa essere patrimonio di tutti e fonte di ispirazione per l’umanità.

Immagine di copertina © Netflix 2021

Visita virtuale alla sala del British Museum che ospita i reperti dello scavo, con Google Arts & Culture

 

Chiara Ferretti