Negli occhi dello sciamano

 

NEGLI OCCHI DELLO SCIAMANO

La capillare occupazione della collina reggiana è suggerita dalla capanna/officina del fabbro di Torlonia, di cui si conservano gli strumenti da lavoro, come le forme di fusione dei metalli per realizzare gli utensili. La capacità di manipolare il metallo usando il fuoco era considerata un’arte raffinata, che conferiva al fabbro un’aura quasi divina. Il metallurgo, rappresentato dalla figurina barbuta posta al centro del cerchio di oggetti in miniatura, era percepito come una sorta di sciamano, come suggerisce la ritualità gestuale dell’opera di Arnulf Rainer. Questo periodo segna anche l’inizio della produzione in serie di oggetti, grazie all’uso di stampi e matrici. Il set di posate da viaggio in plastica esposto qui fa riflettere sull’idea di replicabilità, portando nell’oggi questo fenomeno.

Il cerchio sulla vetrina, che rappresenta in tutto il percorso il tema del sacro, inquadra una tavoletta enigmatica che riporta antichi codici di comunicazione diffusi lungo le rotte commerciali tra l’Europa Centrale e l’Italia Settentrionale, attraverso l’area del Danubio. Grazie ad avanzate tecnologie, oggi è possibile restituire il volto ad un cranio trovato da Chierici sull’isola di Pianosa. La ricostruzione delle sembianze dell’individuo n. 10 segue un metodo interdisciplinare che accomuna archeologia e criminologia.