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17 giugno 2020. Giornata mondiale della lotta alla desertificazione

Esplorare il deserto

Circa un terzo delle aree emerse della Terra sono occupate da deserti. Freddi o caldi, distese di pietre o di dune, rappresentano gli ambienti più inospitali del pianeta. Un monito a preservare ciò che oggi deserto non è.
Esplorare i deserti è stata una delle ultime sfide per geografi e cartografi, in cui si è cimentato anche, sperimentandone la cruda realtà, il Barone Raimondo Franchetti, di cui i Musei Civici di Reggio Emilia conservano raccolte etnografiche e trofei di caccia.
Tra il 1928 e il 1929 Franchetti fu protagonista di un avventuroso viaggio di esplorazione in Dancalia, zona al tempo ancora parzialmente sconosciuta, tra Eritrea ed Etiopia, uno dei deserti più aridi del mondo.
Situata nella fascia tropicale, la Dancalia costituisce la parte settentrionale della depressione dell’Afar, zona di congiunzione di tre grandi sistemi di fratture della crosta terrestre, il Mar Rosso, il Golfo di Aden, e la Rift Valley africana. Si estende lungo la parte meridionale del Mar Rosso, ed è limitata ad ovest dalla scarpata dell’altopiano etiopico, a sud dall’altopiano dell’Harar. Si trova in larga parte sotto il livello del mare. E’ una terra estrema, dominata da temperature elevate e siccità, caratterizzata da vulcani attivi, deserti pietrosi di lava e da uno spesso strato di rocce evaporitiche, che ricopre la parte centrale della depressione, conosciuto come la “Piana del Sale”. Il sale è l’unica ricchezza, tradizionalmente estratta a mano e trasportata a dorso di dromedario dalla popolazione indigena degli Afar.
Coloratissimi laghi sulfurei spezzano la monotonia di un paesaggio inospitale.
Il percorso di Franchetti si sviluppò tra mille difficoltà nella Dancalia centrale, attraversando la depressione in direzione prima Est – Ovest, perlustrando per la prima volta la zona del lago Afrera e del vulcano Afdera (nome che il barone darà in seguito ad una delle figlie), ritornando verso la costa, da Ovest a Est, ad una latitudine più meridionale. La motivazione della spedizione era quella di approfondire la conoscenza geografica della regione, non ancora rappresentata nella cartografia, e di raccogliere dati scientifici rispetto a risorse minerarie, flora e fauna. A questa si univa lo scopo, portato a termine, di ritrovare le tombe di due esploratori italiani rimasti anni prima vittime di predoni, Giulietti e Biglieri. Ma, anche se non dichiarato, la missione aveva in sottofondo lo scopo politico di tessere rapporti con i ras locali, forse in preparazione della imminente invasione dell’Etiopia.
Se la spedizione consentì a Raimondo Franchetti di disegnare sulla carta almeno parte della geografia tormentata di questo deserto, la Storia rese presto inutili le manovre politiche. Dal punto di vista scientifico e naturalistico la Dancalia si rivelò alla carovana uno sterminato nulla di sassi e aridità, con acqua rara e salata, percorribile solo al prezzo della perdita di animali e vite umane e di grandi prove fisiche.
Dell’esplorazione resta il libro dello stesso Franchetti “Nella Dancalia Etiopica”, e un raro film dell’Istituto Luce, girato dall’operatore Mario Craveri, che documenta dettagliatamente il viaggio.
Oggi il deserto arido della Dancalia è meta, non esente da pericoli, di turisti avventurosi, mentre la sua grande ricchezza, il potassio presente nel sale, utilizzato nell’industria dei fertilizzanti e degli esplosivi, è oggetto di forti interessi economici che rischiano di stravolgere con pozzi e strade un ambiente che, forse perché così difficile, ha conservato intatta una selvaggia naturalità.

Silvia Chicchi
Responsabile collezioni naturalistiche 
Musei Civici di Reggio Emilia

Foto: Il barone Raimondo Franchetti, Archivio fotografico Musei Civici di Reggio Emilia