Il nuovo allestimento del Palazzo dei Musei
Con l’inaugurazione del piano secondo di Palazzo dei Musei i Musei Civici concludono un lungo percorso di ripensamento delle proprie collezioni, di quelle di proprietà statale in deposito e del significato che il museo ha acquisito all’interno della comunità, nel contesto di un mondo sempre più complesso e mutevole. Un decennio di lavoro corale in cui Italo Rota e i curatori delle raccolte hanno attivato il patrimonio del Museo in un dialogo continuo tra visioni espositive, esigenze scientifiche, sollecitazioni partecipative.
Nel nuovo allestimento il visitatore è invitato a immergersi in un grande Archivio dei beni comuni: un approccio che organizza i materiali attraverso pluralità di livelli narrativi, connessioni spazio-temporali, incontro tra i mondi e le discipline. È questo l’immaginario del Nuovo Museo, lo spazio condiviso della collettività del XXI secolo, dove storia, cultural heritage, immagini e tecnologia condividono uno spazio e un’idea di futuro.
I nuovi spazi dedicati al mondo antico narrano la storia delle genti del territorio reggiano, individuandone l’origine e le dinamiche in rapporto al paesaggio, al clima ed all’ambiente, dalla Preistoria al periodo Alto-Medievale.
Il fattore che più di ogni altro condiziona lo sviluppo nel territorio è quello delle vie di comunicazione, che dalle epoche più remote attraversano questo lembo di pianura Padana, vera e propria cerniera tra mondo mediterraneo ed Europa continentale.
Il progetto allestitivo apre varchi di lettura tra i contenuti esposti che consentono comparazioni e collegamenti fra le diverse epoche e culture, e rivelano l’identità del territorio da punti di vista inaspettati.
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La varietà ambientale peculiare di quest’area è decisiva per l’avvento di gruppi umani stabili che vi introducono per la prima volta l’agricoltura e l’allevamento e condiziona lo sviluppo della cultura dell’Età del Rame
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Le prime piste solcate da carri, che ripercorrono le preesistenti vie di transito, mettono in connessione la rete dei grandi villaggi dell’Età del Bronzo, le Terramare.
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Il collasso della civiltà terramaricola, evento traumatico che porterà ad una prolungata crisi demografica e culturale e alla fine di quel mondo, è rappresentato come vero e proprio “crash”, raccontato dalla ricostruzione di una capanna nella sua fase di abbandono. La narrazione della preistoria nel Reggiano si ricollega in modo significativo alle collezioni storiche, tramite la figura del paletnologo don Gaetano Chierici. Esponente di assoluto rilievo della cultura italiana dell’800, tra i primi ad applicare metodologie scientifiche all’archeologia, Chierici, del quale i Musei Civici hanno recentemente celebrato i 200 anni dalla nascita, è stato il fondatore nel 1870 del Museo di Storia Patria di Reggio Emilia. La nuova sezione di preistoria e protostoria si “sdoppia”, creando un percorso, parallelo e complementare a quello cronologico, dove sono rappresentati i temi del lavoro scientifico di Chierici: la stratigrafia, la tassonomia, il contributo offerto dalle scienze della terra e naturali, il comparativismo. A confronto con tali questioni vengono posti oggetti e contesti di scavo archeologici del Reggiano eseguiti in anni recenti, condotti e documentati con metodo scientifico.
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Nell’ambiente adiacente cinque parures femminili: vaghi di collana allineati sul petto, fibule sulle spalle, armille sulle braccia, aghi crinali tra i capelli di figure di donne dai contorni evanescenti, disegnate dalla luce, in un eterno rimbalzo tra la vita e la morte che ci ricorda a cosa servissero quegli oggetti meravigliosi.
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La fase che precede la romanizzazione si chiude con una vicenda che ha luogo sulle vette dell’Appennino reggiano, teatro dell’ultima strenua resistenza ligure prima dell’avvento al potere dei Romani.
La “Monta solare” di Fausto Melotti chiude idealmente, con i suoi riferimenti ai miti originari della cultura occidentale, una fase della storia del nostro territorio per aprirne un’altra, quella della romanizzazione.
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L’epoca della dominazione romana viene introdotta dalla ricostruzione di una tenda da campo, il praetorium, che simboleggia la fase della conquista della Cispadana, di cui fu protagonista il console Marco Emilio Lepido, eponimo della regione emiliana e fondatore della stessa città di Reggio, il cui ritratto campeggia all’interno della tenda.
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Un particolare allestimento è riservato al tesoro tardo-antico di Reggio Emilia, che annovera preziosi gioielli e monete d’oro, occultati nel periodo della guerra tra Odoacre e Teodorico, a evocare una nuova fase di crisi culturale e demografica che cambierà drasticamente il quadro insediativo, economico ed amministrativo del territorio.
Conclude la sezione archeologica l’esposizione di reperti altomedievali, costituiti da iscrizioni paleocristiane, in dialogo con oggetti di matrice cristiana di differenti epoche e provenienze, e corredi funerari longobardi.
In questa sezione, in connessione con la via Emilia romana, è esposta una selezione di opere di “Esplorazioni sulla via Emilia”, importante progetto fotografico del 1986 che vedeva coinvolti, tra gli altri, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Luigi Ghirri, Mimmo Jodice.
Questo grande allestimento, a metà strada tra esposizione museale e installazione, a partire dagli oggetti provenienti dalle collezioni artistiche, storiche, scientifiche, nonché grazie ai prestiti di alcuni importantissimi giacimenti culturali del territorio, pubblici e privati, mette in risonanza la dimensione locale con quella internazionale. La storia della città e del museo si confronta con gli oggetti provenienti da ogni parte del mondo e con i prodotti più significativi della cultura materiale, mettendo in relazione il capolavoro con il documento.
Il museo si propone come un “archivio di beni comuni”, secondo la celebre definizione di Claire Bishop, che mette insieme opere, oggetti e storie senza gerarchie o limiti disciplinari in una concezione unitaria e universale della cultura.
Elemento fondamentale diviene dunque il magazzino inteso come spazio vivo e giacimento di storie, che pone alla collettività e ai cittadini curiosità e domande su chi siamo, da dove veniamo, e dove andiamo; i nuovi abitanti possono capire e inserirsi in queste vicende, rendendo il museo una struttura produttiva che si esprime attraverso la creatività del visitatore.
La storia di Reggio si intreccia profondamente con la storia della famiglia degli Este, che dal 1409 fino all’Unità d’Italia detiene il dominio sul nostro territorio, stimolando la ripresa economica della città e lo sviluppo di saperi e cultura, ma diminuendone anche prestigio e autonomia.
Prendono così corpo nelle sale i personaggi che hanno caratterizzato i secoli del dominio estense.
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Il primo è il grande poeta del Rinascimento Ludovico Ariosto, che con il suo “Orlando Furioso” ha travalicato i confini dello spazio e del tempo; la sua presenza a Reggio è legata alla villa di famiglia detta il Mauriziano, il cui giardino raccolse il primo esempio collezionistico di arte antica della nostra città. Il ritratto del poeta fa da sfondo ad una rara edizione Cinquecentesca del poema cavalleresco, proveniente dalla preziosa collezione di edizioni antiche dell’”Orlando Furioso” conservata presso la Biblioteca Panizzi.
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Un grande diorama, costruito intorno alla celebre “mappa di Cantino”, realizzata in Portogallo su commissione di Ercole d’Este, restituisce l’incontro tra il vecchio e il nuovo mondo attraverso il patrimonio etnografico e alcuni oggetti spagnoli della Galleria Parmeggiani.
Una copia seicentesca de “L’adorazione dei pastori” testimonia la presenza del Correggio in città, mentre l’ambientazione di alcune armi delle collezioni dialoga con ritratti d’epoca e filmati contemporanei.
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Il Seicento vede protagoniste le donne. Innanzitutto la Madonna della Ghiara, protettrice della nostra città in tempo di peste ma anche stimolo di importanti commissioni artistiche; dal patrimonio della Basilica della Ghiara provengono una preziosa tendina da calice rappresentante l’Albero di Jesse, una pianeta ottenuta con l’abito di nozze di Beatrice Ricciarda d’Este, una croce facente parte di un corredo da altare donato da Francesco I d’Este. A questo clima si possono ricondurre alcune delle maggiori opere del periodo, come la “Deposizione” di Palma il Giovane commissionata dalla contessa Camilla Brami per la propria cappella in Duomo, di cui si espone il bozzetto preparatorio.
Completa il percorso la vetrina dedicata all’arte della seta, memoria di una tradizione che continua fino ai nostri giorni.
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Il Settecento è un secolo denso di storia e cultura, e vede la realizzazione della Reggia di Rivalta voluta da Francesco III d’Este e dalla moglie Carlotta d’Orleans. Lo sviluppo del teatro rende la città importante centro di produzione delle arti scenografiche, di cui i Musei custodiscono un importante fondo, testimoniate da un suggestivo allestimento. Il secolo è caratterizzato anche dallo sviluppo delle scienze: in primo luogo Lazzaro Spallanzani, ma sono ricordati anche Bonaventura Corti, Antonio Vallisneri, Giovan Battista Venturi e Leopoldo Nobili; il secolo dei lumi accompagna Reggio, attraverso il fondamentale episodio del primo Tricolore, verso l’Unità d’Italia. Chiude il percorso la scenografica ricostruzione di una parete con gessi provenienti dalla Scuola di Belle Arti, inaugurata a Reggio nel 1797.
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Articolata in sezioni tematiche, la sala dell’Ottocento consente di seguire i grandi temi dell’arte di quel secolo: l’esedra dei ritratti e autoritratti di pittori approfondisce il ruolo dell’artista, la ricostruzione dell’atelier di Alfonso Chierici racconta i fondamenti della cultura accademica, il salon dalle pareti purpuree accosta i dipinti dei pittori reggiani secondo le modalità delle esposizioni ottocentesche.
Il famoso soggiorno in Giappone di Antonio Fontanesi consente il confronto con un grande paravento giapponese, mentre nel segno della musica e della sua funzione patriottica rivivono gli abiti di scena indio del tenore parmigiano Giraud.
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La sala intitolata People si pone come snodo e connessione tra epoche a confronto.
Alle testimonianze risorgimentali del Museo del Tricolore fanno riscontro le opere “Così va il mondo” di Cirillo Manicardi, che ritrae la tradizione contadina, e “Gruppo di componenti la Cooperativa Pittori di Reggio Emilia” di Augusto Mussini. Sul lato opposto i dagherrotipi dei combattenti del periodo risorgimentale dialogano con i reggiani ritratti nel progetto fotografico “AEmillia”, che introduce alla sezione dedicata alla fotografia.
Palazzo dei Musei ha quindi deciso di destinare spazi permanenti all’opera di Luigi Ghirri e alla valorizzazione della Collezione di Fotografia Europea, e di realizzare lungo tutto il percorso espositivo spazi di “incontro” fra gli oggetti e la fotografia, in un dialogo volto a creare nuovi spunti di riflessione.
Per ragioni di conservazione, le sezioni fotografiche saranno riallestite periodicamente e ciò consentirà di creare ogni volta nuovi e diversi accostamenti con le opere del museo.
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La prima selezione presentata proviene dall’album “Paesaggi di cartone” (1971-1973), recentemente ritrovato dal Museum of Modern Art di New York: sono scatti di poster, vetrine di negozi, insegne pubblicitarie, e altre immagini che raccontano dell’utilizzo sempre più frequente della fotografia in quegli anni.
Questo impianto teorico, che si traduce in immagini a colori di piccole dimensioni all’apparenza semplici e realizzate in spazi urbani, ha come obiettivo quello di riflettere sulle complessità di una realtà che diventava sempre più stratificata e di difficile interpretazione.
La Fototeca della Biblioteca Panizzi custodisce il fondo dei negativi e delle diapositive di Luigi Ghirri, costituito da più di 180.000 pezzi.