Il più antico nucleo della collezione etnografica reggiana, nella Collezione di Paletnologia, fu voluto da Gaetano Chierici, quando, nel contesto culturale dei nascenti studi preistorici, emergeva un interesse per le popolazioni extraeuropee fondato su teorie ispirate alla concezione evoluzionistica della storia dell’uomo. Le raccolte di materiali etnografici, che continuarono a giungere in Museo anche dopo la morte del Chierici (1886), trovano ora collocazione in un nuovo ordinamento espositivo (1999) che propone l’integrazione alla Collezione reggiana delle raccolte provenienti dal Museo di Antichità di Parma, acquisite nel 1970 per iniziativa di Giancarlo Ambrosetti.
Riutilizzando lo spazio espositivo preesistente, con armadi ottocenteschi, il racconto espositivo inizia con le raccolte americanistiche: la raccolta Vincenzo Bonini (1903-11) e la Raccolta Luigi Luiggi (1895), entrambe relative a materiale proveniente dalla Terra del Fuoco (degli Ona sono l’arco, le frecce, la faretra ed il manto di pelli di guanaco, mentre degli Alacaluf sono da segnalare i due arpioni d’osso); i materiali provenienti dall’Amazzonia, raccolti da esponenti della famiglia Schivazappa: dall’agente consolare Enrico Schivazappa furono raccolti (1883-1888) i materiali relativi ai Crichanà, ai Uaupés-Tucano, ai Paumary, ai Ticuna e agli Jivaro, mentre ai nipoti Enrico ed Armando si devono i materiali raccolti principalmente tra i Carajà (1896-98). Dei Crichanà, sul Rio Yauaperì affluente del Rio Negro, è il gruppo d’oggetti più corposo: vi compaiono ornamenti, armi, strumenti musicali e una ciotola di terracotta.
Dei Paumary, sul Rio Purùs, sono una piccola canoa, i pettini ed una serie di ornamenti retiformi, significativi esempi d’arte plumaria. Notevoli le maschere di corteccia d’albero macerata e battuta, utilizzate nei riti di pubertà femminile dai Ticuna del Rio Solimões. Dagli Jivaro, sul Rio Santiago dell’Amazzonia peruviana, proviene la testa ridotta (tzantza). Ai Carajà e ad altre popolazioni del Rio Araguaja appartengono una pagaia dipinta, armi, ornamenti, vasellame e pipe. Seguono le raccolte archeologiche precolombiane: i vasi peruviani Chimù (1000-1450 d.C.) della Raccolta della Biblioteca Popolare; i materiali archeologici peruviani, raccolti da Enrico Mazzei (1884), provenienti dalla costa centrale peruviana, che comprendono manufatti tessili, un cestino da lavoro contenente fusi e matassine, e la parte superiore d’una mummia; inoltre reperti di area mesoamericana e colombiana: vaghi di giadeite (raccolta Eleonora Dall’Omo) e figurine fittili (raccolta Luigi Bruni 1901-08). Da segnalare il pendente di giadeite, denominato ave-pico, riferibile all’area di Nicaragua e Costa Rica.
L’esposizione continua con i materiali abissini raccolti dal Capitano Vincenzo Ferrari (1885) ed entrati in museo successivamente alla morte del Chierici e le raccolte varie dell’Abissinia (Corti 1914, Calderoni 1936, Iotti 1950, Cardarelli 1956). Le quattro raccolte effettuate dal barone Raimondo Franchetti, in Asia e in Africa, sono collocate negli armadi sovrastati dai trofei africani di caccia dell’esploratore reggiano. La prima è relativa a materiali dell’area indonesiana: Malesia, Giava, Borneo, Celebes e Nuova Guinea. Nel 1911, infatti, di ritorno dall’avventuroso viaggio (in Europa fu dato per disperso), donò al museo reggiano armi, indumenti, strumenti musicali e suppellettili, tra cui interessanti armi dei Sakai e dei Dajak. Fra questi trovano posto anche oggetti della raccolta Dall’Omo, tra i quali spiccano i preziosi kriss.
A seguire troviamo la raccolta del 1912, relativa alle popolazioni Moi dell’Annam, che consiste tra l’altro in balestre, frecce custodite in faretre di bambù, cestini per il riso, pipe e due bellissimi pettini. Ai viaggi africani del Franchetti si devono due copiose raccolte: dall’etnia Shilluk nell’alto Nilo (1913), giungono le armi, ma anche due eleganti pipe, un poggiatesta e preziosi bracciali d’avorio. Forse la più ricca di armi e scudi, è la corposa raccolta del 1914, relativa ai materiali delle popolazioni Kikuyu e Meru del Kenya. Tra le armi troviamo ancora però oggetti che ci parlano d’altri aspetti della vita di queste di queste popolazioni di lingua bantu: cinture di cauri e perline di pasta vitrea, orecchini di legno, anelli d’argento, amuleti d’avorio, sgabelli di legno decorato da inserti metallici e zucche per trasportare l’acqua.
Di seguito troviamo la raccolta africana dei coniugi Marchi, formatasi nel bacino del Congo (1928-1933), relativa per lo più all’etnia Luba, e composta in maggioranza da armi. Sono stati infine recentemente esposti (2011) i materiali che costituiscono la raccolta di Giuseppe Corona, anch’essa fino agli inizi degli anni ’70 conservata presso il Museo di Antichità di Parma. Si tratta di un interessante nucleo di manufatti che comprende una notevole serie di statue lignee. Il cavalier Corona era console italiano in Congo, incaricato dal Ministero degli esteri italiano di redigere una relazione sullo sviluppo economico di quella regione. In occasione di un viaggio lungo il corso del fiume Congo (1886 –1887) ebbe modo di acquisire molti materiali, che furono acquistati dal Museo Pigorini di Roma nel 1889. A seguito di scambi e donazioni tra Luigi Pigorini e Giovanni Mariotti, direttore del Museo di Antichità di Parma, questi oggetti approdarono a Parma e da lì, in seguito, ai Musei Civici di Reggio Emilia.
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